NEA.BPD è un’organizzazione nata negli Stati Uniti a supporto delle famiglie delle persone che hanno una diagnosi di DBP (Disturbo Borderline di personalità ).
Ad oggi è presente in molte parti del mondo, e finalmente anche in Italia, e rappresenta una grande comunità di persone ed informazioni.
NEA.BPD Italy, la cui presidente è la Dott.ssa Maria Elena Ridolfi, è attiva su territorio nazionale ed internazionale attraverso la partecipazione ed organizzazione di convegni e l'attivazione di gruppi per familiari in diverse città italiane.
Il DBP è un disturbo di personalità che crea una grande sofferenza sia nelle persone affette che nelle persone a loro vicine.
Esso si manifesta nella maggior parte dei casi in adolescenza ed ha come fulcro centrale una grande difficoltĂ nel gestire le proprie emozioni in modo efficace.
Il disturbo spesso interessa il contesto relazionale e può coinvolgere una o più relazioni.
Molte persone con DBP hanno un buon funzionamento in vari campi che si contrappone però a vite private difficili e instabili, spesso a causa di problemi nel regolare le emozioni, i pensieri, l’impulsività ed a causa della messa in atto di comportamenti imprudenti e pericolosi.
Il DBP può presentarsi insieme ad altri disturbi come: depressione, ansia, problemi di alimentazione e abuso di sostanze.
Il DBP è stato ufficialmente riconosciuto dalla comunità psichiatrica nel 1980 e questo ha determinato un ritardo di circa vent’anni nella ricerca, nei trattamenti e nella psicoeducazione familiare se confrontato con altri disturbi psichiatrici.
Il disturbo causa da sempre a chi ne soffre ed alle loro famiglie evidenti stigmatizzazioni. Negli ultimi vent’anni però, è stato possibile ridare speranza a tutti coloro che ne sono coinvolti grazie alla scoperta di trattamenti che si basano su evidenze e prove di efficacia.
Si è visto infatti che, grazie a trattamenti adeguati, circa l’ 80% di coloro che soffrono di DBP, vanno incontro ad una significativa riduzione dei sintomi.
Il DBP colpisce il 5,9% degli adulti (circa 14 milioni di americani) in qualche momento della vita.
Il DBP colpisce il 50% in più dell’Alzheimer e con la stessa percentuale di schizofrenia e Disturbo bipolare insieme.
Il DBP colpisce circa il 20% dei pazienti che sono ricoverati in strutture psichiatriche e di quelli che arrivano negli ambulatori.
Qualche informazione sul disturbo
InfoIl DBP IN BREVE
Introduzione al Disturbo Borderline di PersonalitĂ
Diagnosi, Origini, Decorso e Trattamento – Prof. John G. Gunderson
  Ringraziamenti
Questa revisione delle precedenti edizioni di “Il DBP in breve”, la cui co-autrice è la Dott.ssa Cynthia Berkowitz, usufruisce degli inestimabili consigli di Maureen Smith, LICSW, e del Dott. Brian Palmer del McLean’s Borderline Center.
 Traduzione a cura della Dott.ssa Maria Elena Ridolfi, Responsabile CSM Fano AV 1 Fano e Centro per lo studio ed il trattamento del Disturbo Borderline di Personalità  e di Luigi Caiazzo, I.P. Dipartimento di Salute Mentale, Area Vasta 1, Fano. *
Diagnosi di disturbo borderline di personalitĂ : inqudramento secondo il DSM-IV-TR
Criteri diagnostici secondo il DSM- IV-TR*
Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’ immagine di sé e dell’affettività , e una marcata impulsività comparse nella prima età adulta e presenti in una varietà di contesti come indicato da 5 (o più) dei seguenti criteri:
Sforzi disperati di evitare un abbandono reale o immaginario.
Nota: non includere i comportamenti suicidari o auto mutilanti considerati nel criterio 5.
Un quadro di relazioni interpersonali intense e instabili caratterizzate dall’alternanza tra gli estremi di idealizzazione e svalutazione.
Disturbo dell’ identità : immagine di sé marcatamente e persistentemente alterata.
ImpulsivitĂ in almeno 2 aree potenzialmente dannose per il soggetto (ad esempio: spendere, sesso promiscuo, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate).
Nota: non includere comportamenti suicidari o auto mutilanti considerati nel criterio 5.
Ricorrenti comportamenti, gesti, minacce suicidarie o comportamento automutilante.
Instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (ad esempio: disforia episodica intensa, irritabilità o ansia che solitamente durano alcune ore e solo raramente più di alcuni giorni)
Sentimenti cronici di vuoto.
Rabbia inappropriata e intensa o difficoltĂ a controllare la rabbia (ad esempio: frequenti manifestazioni di collera, rabbia costante, ricorrenti scontri fisici).
Ideazione paranoide o severi sintomi dissociativi transitori, correlati allo stress.
Ognuno di noi possiede una personalità : modalità stabili di percepire, relazionarsi e pensare rispetto all’ ambiente e a sé stessi. Quando queste caratteristiche sono inflessibili, maladattative e causano significativa compromissione funzionale o sofferenza soggettiva costituiscono un disturbo di personalità .
La classificazione comprende 11 disturbi di personalità , tra i quali il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) è il più comune, il più complesso e uno dei più devastanti, con un tasso suicidario che arriva fino al 10% dei pazienti diagnosticati. I soggetti con BPD costituiscono approssimativamente tra l’1 e il 2% della popolazione generale, fino al 20% di tutti i pazienti psichiatrici ricoverati e il 15% dei pazienti ambulatoriali. I ¾ dei pazienti diagnosticati come BPD sono donne.
La diagnosi di DBP può spesso non venire posta poiché il disturbo frequentemente si manifesta in concomitanza ad altre condizioni cliniche quali depressione, disturbo bipolare, abuso di sostanze, disturbi d’ansia e disturbi dell’alimentazione. Poiché sono sufficienti solo 5 dei 9 criteri del DBP per fare diagnosi, le modalità di presentazione del disturbo possono essere molteplici. Inoltre, i soggetti con DBP presentano molte oscillazioni sintomatologiche.
Come risultato di osservazioni cliniche effettuate sin dagli anni ’30 e di studi scientifici condotti negli anni ’70, gli psichiatri stabilirono che le persone caratterizzate da intense emozioni, agiti autolesivi e relazioni interpersonali burrascose avevano una diagnosi di Disturbo Borderline di Personalità .
Il termine “borderline” fu usato perché si pensava originariamente che questi pazienti fossero varianti atipiche (“borderline”,“linea di confine”,ndt) di altre diagnosi e anche perché mettevano a dura prova i confini di qualunque limite fosse loro posto. La diagnosi divenne “ufficiale” nel 1980. Nonostante vi siano stati molti progressi negli ultimi 25 anni nella comprensione e nel trattamento del DBP, il termine “borderline” è spesso stato utilizzato in maniera insufficiente. Ciò si deve principalmente al fatto che i sintomi del DBP rendono i pazienti difficili da trattare e spesso evocano sentimenti di rabbia e frustrazione nelle persone che tentano di aiutarli. Tali accezioni negative hanno spesso determinato resistenze in molti professionisti nel diagnosticare un soggetto come DBP, a favore di diagnosi quali depressione, disturbo bipolare, disturbo da abuso di sostanze, disturbi d’ansia e disturbi alimentari. Questo problema è stato aggravato dalla mancanza di un’adeguata copertura assicurativa (negli Stati Uniti, ndt) per gli estesi trattamenti psicosociali che il disturbo solitamente richiede.
Spiegazione dei criteri del DSM-IV-TR
Come riportato in precedenza, affinché ad un paziente venga diagnosticato un Disturbo Borderline di Personalità , devono essere presenti (almeno) 5 su 9 criteri, come stabilito nel DSM -IV –TR (vedi pag. 3). A seguire una più dettagliata spiegazione dei sintomi:
Timori abbandonici
Questi timori devono essere differenziati dai più comuni e meno gravi fenomeni di ansia da separazione. La percezione di una separazione incombente o di un rifiuto, o la perdita di un supporto esterno possno determinare nel DBP profondi cambiamenti nell’immagine di sé, nella sua affettività , nella sua capacità cognitiva e nel suo comportamento. Le persone con DBP sono molto sensibili alle circostanze ambientali e possono provare intense paure di abbandono e rabbia inappropriata persino quando posti di fronte a critiche o ad un periodo di separazione realisticamente limitato. Questi timori abbandonici sono dovuti ad un’intolleranza a stare da soli e al bisogno di avere altre persone vicine. Tentativi spasmodici per evitare l’abbandono possono includere azioni impulsive come comportamenti suicidari o autolesivi. In origine si riteneva che tali timori fossero la risultante di un fallimento, durante lo sviluppo evolutivo del bambino, della fase di riavvicinamento (tra i 18 e i 30 mesi di vita). Tuttavia, la ricerca empirica non ha confermato questa ipotesi.
Relazioni intense e instabili
Le persone con DBP non sono spesso in grado di vedere le persone per loro significative (fonti potenziali di cura e protezione) se non come idealizzate (se gratificanti) o svalutate (se non gratificanti). Questa modalità è spesso definita come “pensiero in bianco e nero” e, in termini psicologici, rimanda al costrutto di scissione. Quando la rabbia inizialmente rivolta verso una persona amata è avvertita come pericolosa, essa viene scissa per salvaguardare la bontà della stessa. L’instabilità nelle relazioni è anche ritenuta un sintomo di uno stile di attaccamento precoce di tipo insicuro caratterizzato sia da una timorosa diffidenza sia da bisogni di dipendenza.
Disturbi dell’ identitĂ
Il disturbo del senso di sé, che è specifico dei pazienti borderline, è caratterizzato da una distorta, instabile o debole immagine di sé. I pazienti borderline hanno spesso valori, abitudini e atteggiamenti che sono influenzati da chiunque sia con loro. Si ritiene che il contesto interpersonale nel quale questi problemi sono amplificati origini da un non apprendimento della capacità di identificare i propri stati emotivi e le cause che sottendono i propri comportamenti.
ImpulsivitĂ
L’impulsività del paziente borderline è frequentemente autolesiva nei suoi effetti, se non nelle sue intenzioni. Ciò differisce dall’impulsività riscontrata in altre patologie come i disturbi maniacali/ipomaniacali o i disturbi antisociali. Forme comuni di comportamenti impulsivi per i pazienti borderline sono l’ abuso di sostanze o di alcool, la bulimia, la promiscuità sessuale e la guida spericolata.
Comportamenti suicidari o autolesivi
Ricorrenti tentativi di suicidio, gesti, minacce o comportamenti autolesivi sono la caratteristica del paziente borderline. Il criterio è talmente prototipico delle persone con DBP che la diagnosi giustamente viene in mente ogni volta che ci si imbatte in ricorrenti comportamenti autolesivi. Gli agiti autolesivi iniziano spesso nella prima fasi dell’adolescenza e sono solitamente precipitati da minacce di separazione o rifiuto o dall’aspettativa che il paziente DBP si assuma responsabilità indesiderate. La presenza di questa modalità aiuta a porre la diagnosi di DBP in pazienti i cui sintomi presentati sono depressione o ansia.
InstabilitĂ affettiva
Le prime osservazioni cliniche rilevarono l’intensità , la mutevolezza e la gamma delle emozioni del paziente borderline. Fu originariamente suggerito che l’instabilità emotiva del borderline coinvolgesse gli stessi problemi di disregolazione affettiva rilevati nelle persone con disturbi dell’umore, in particolare depressione e disturbo bipolare. E’ attualmente riconosciuto che, sebbene gli individui con DBP mostrino una marcata instabilità affettiva (ad esempio: intensa depressione episodica, agitazione, rabbia, panico o disperazione), questi cambiamenti d’umore durano solitamente solo alcune ore, e che il sottostante umore disforico è raramente alleviato da periodi di benessere o di soddisfazione. Questi episodi possono riflettere l’estrema reattività dell’individuo agli stress, particolarmente a quelli interpersonali, ed un’incapacità su base neuro-biologica e regolare le emozioni.
Senso di vuoto
Sentimenti cronici di vuoto descritti come una sensazione viscerale, di solito avvertita a livello addominale o nel torace, affliggono il paziente borderline. Non si tratta di noia né di angoscia esistenziale. Questo stato emotivo è associato a solitudine e bisogno. A volte questa sensazione è considerata uno stato emotivo, altre volte, invece, uno stato di deprivazione.
Rabbia
La rabbia del paziente borderline può essere dovuta ad un temperamento innato (vulnerabilità genetica) o a una risposta del bambino ad una frustrazione eccessiva (causa ambientale). Indipendentemente dal fatto che la causa sia genetica o ambientale, molti individui con DBP riferiscono di sentirsi arrabbiati la maggior parte del tempo, anche quando la rabbia non è espressa apertamente. La rabbia può essere elicitata quando una persona significativa o un curante è percepito come negligente, rifiutante, disattento o incline all’abbandono. Le espressioni di rabbia sono spesso seguite da vergogna e colpa e contribuiscono alla sensazione di essere malvagio.
Distorsioni percettive simil- psicotiche (Errori nell’esame di realtà )
I pazienti borderline possono avere sintomi dissociativi: avvertire sé stessi o il mondo circostante come irreali. Sebbene questi sintomi siano associati ad altri disturbi, come la Schizofrenia e il Disturbo post-traumatico da stress (PTSD), nel DBP generalmente sono di breve durata, al massimo alcuni giorni, e spesso si verificano in situazioni di estremo stress. I pazienti borderline possono anche essere in modo irrealistico troppo attenti a sé stessi, nella convinzione che gli altri li stiano guardando o stiano parlando di loro in modo critico. Questi errori nell’esame di realtà nel DBP possono essere distinti da altre patologie nelle quali in genere la capacità di correggere tali distorsioni attraverso feedback rimane intatta.
Le caratteristiche borderline sono generalmente suddivise per comodità in quattro fattori, ognuno dei quali rappresenta un temperamento sottostante (il cosiddetto “fenotipo”):
SensibilitĂ interpersonale (criteri 1,2 e 7)
Disregolazione affettiva (emotiva) (criteri 6, 8 e 7)
Discontrollo comportamentale (impulsivitĂ ) (criteri 4 e 5)
Disturbi del sé (criteri 3 e 9)
Origini del BPD
Il disturbo borderline di personalità , come tutti gli altri disturbi psichiatrici più importanti, è considerato la risultante di una complessa combinazione di fattori genetici, sociali e psicologici. Tutte le moderne teorie attualmente concordano sul fatto che cause molteplici debbano interagire tra loro affinchè il disturbo divenga manifesto.
Vi sono, tuttavia, riconosciuti fattori di rischio per lo sviluppo del BPD, che includono quelli presenti alla nascita- definiti temperamenti-, esperienze avute nell’infanzia ed influenze ambientali protratte.
Temperamenti biogenetici congeniti
Il tasso di ereditabilità si attesta tra il 52 ed il 68%, percentuale simile al disturbo bipolare. Ciò che si ritiene ereditabile non è il disturbo in quanto tale ma le predisposizioni biogenetiche, ad esempio i temperamenti (o come sopra riportato i fenotipi) quali la disregolazione affettiva, l’impulsività e la sensibilità interpersonale. Nei bambini con questa predisposizione genetica, i fattori ambientali possono significativamente determinare o esacerbare un disturbo borderline in età adulta. In aggiunta una predisposizione genetica specifica per il DBP aggrega questa fenotipi.
Molti studi hanno dimostrato che i disturbi della regolazione emotiva, la sensitività interpersonale o l’ impulsività sono di gran lunga più numerosi nei familiari dei pazienti con DBP. Il temperamento affettivo/emotivo predispone gli individui ad essere facilmente agitati, arrabbiati, depressi e ansiosi. Il temperamento impulsivo predispone gli individui ad agire senza pensare alle conseguenze o persino a cercare di proposito attività pericolose. Il temperamento caratterizzato da ipersensibilità interpersonale probabilmente inizia con un’ estrema sensibilità alle separazioni o al rifiuto. Un’ altra teoria ha suggerito che i pazienti con DBP siano nati con un’ aggressività eccessiva su base genetica (a differenza di un’origine ambientale). In base a ciò, per un bambino nato con un temperamento gioso, affettuoso, placido o passivo sarebbe improbabile sviluppare un DBP.
Una funzione neurologica normale è necessaria per compiti complessi come il controllo degli impulsi, la regolazione delle emozioni, la percezione dei ruoli sociali. Studi su pazienti borderline hanno identificato un’aumentata incidenza di disfunzioni neurologiche, spesso lievi, distinguibili con un attento esame. La più ampia porzione dell’encefalo è il cervello dove è processata l’informazione proveniente dai sensi e da cui si ritiene scaturiscano i pensieri coscienti e i movimenti volontari. Studi preliminari hanno rilevato che gli individui con DBP hanno una risposta serotoninergica diminuita alla stimolazione in queste aree dell’encefalo e che più bassi livelli di attività cerebrale possono favorire un comportamento impulsivo. Il sistema limbico, situato al centro dell’ encefalo, è talvolta considerato come “il cervello emotivo” ed è composto dall’amigdala, dall’ ippocampo, dal talamo e dall’ipotalamo, e da parti del peduncolo cerebrale. I dati empirici mostrano che a fronte di un’attivazione emotiva, l’amigdala dei soggetti borderline è particolarmente attiva.
Fattori psicologici
Come molte altre malattie mentali, il disturbo borderline di personalità non sembra originare durante una specifica, separata fase dello sviluppo. Studi recenti hanno suggerito che i bambini pre-borderline non riescono ad apprendere modalità accurate per identificare i sentimenti o attribuire in modo corretto motivazioni in sé stessi e negli altri (spesso definito come fallimento di mentalizzazione). Questi bambini non riescono a sviluppare capacità mentali di base che costituiscono un senso stabile di sé e rendono sé stessi e gli altri comprensibili o prevedibili. Un’importante teoria ha posto in risalto il ruolo critico di un ambiente invalidante. Ciò si verifica quando un bambino è portato a credere che i suoi sentimenti, pensieri o percezioni non sono reali o non hanno importanza. Circa il 70% delle persone con DBP riferiscono una storia di abuso fisico e/o sessuale. I traumi dell’ infanzia possono contribuire all’insorgenza di sintomi quali l’alienazione, la disperata ricerca di relazioni protettive e l’insorgenza di emozioni intense che caratterizzano il DBP. Tuttavia, poiché relativamente poche persone che hanno subito un abuso fisico o sessuale sviluppano un disturbo borderline (o qualsiasi altro disturbo psichiatrico) è fondamentale considerare la disposizione temperamentale. Poiché il DBP si può sviluppare in assenza di tali esperienze, l’ipotesi traumatica non è sufficiente per spiegare lo sviluppo del disturbo. Tuttavia abusi sessuali o di altro tipo possono rappresentare l’ambiente invalidante “per eccellenza”. Se l’abusante è una caregiver (colui che si prende cura, ndt) il bambino può avere bisogno di attuare una scissione (negando sentimenti di odio e repulsione al fine di preservare l’idea di essere amato). Circa il 30 % delle persone con DBP hanno avuto esperienza di perdite genitoriali precoci o di separazioni prolungate dai loro genitori, esperienze che si ritiene contribuiscano allo sviluppo dei timori abbandonici del paziente borderline. Le persone con DBP frequentemente riferiscono di essersi sentite trascurate durante la loro infanzia. Talvolta le cause di questo senso di trascuratezza non sono chiare e possono essere dovute alla sensazione di non essere sufficientemente compresi. Spesso i pazienti riferiscono di sentirsi alienati o non parte delle loro famiglie e attribuiscono le difficoltà nella comunicazione ai loro genitori. Tuttavia, l’abilità ridotta che le persone con DBP hanno nel descrivere e comunicare i propri sentimenti o bisogni o la resistenza a parlare di sé possono rappresentare una causa significativa dello sviluppo di sentimenti di trascuratezza e alienazione.
Fattori sociali e culturali
L’evidenza in letteratura mostra che la personalità borderline si ritrova in circa il 2-4% della popolazione generale. Fattori sociali e culturali possono contribuire a variazioni nella sua prevalenza. Una società caratterizzata da ritmi veloci, che si sposta con estrema facilità e dove le situazioni familiari possono essere instabili a causa di divorzi, fattori economici o altre difficoltà , può favorire lo sviluppo di questo disturbo.
Decorso del DBP
Il disturbo borderline di personalità solitamente si manifesta nella prima età adulta, anche se i singoli sintomi (ad es. le condotte autolesive) possono evidenziarsi sin dalla prima adolescenza. Con il trascorrere del tempo, i sintomi e/o la severità del disturbo solitamente diminuiscono. In realtà , circa il 40- 50% dei pazienti borderline presentano una riduzione dei sintomi entro due anni e questa percentuale sale all’ 85% entro 10 anni. A differenza della maggior parte degli altri disturbi psichiatrici maggiori, i pazienti che presentano una remissione dal disturbo solitamente non hanno ricadute! Studi sul decorso del DBP hanno indicato che i primi cinque anni di trattamento sono solitamente i più tormentati da crisi. Questa fase è caratterizzata da una serie di relazioni intense e instabili che terminano rabbiosamente con conseguenti comportamenti autodistruttivi o suicidari. Sebbene tali crisi possano perdurare per anni, una diminuzione della frequenza e gravità dei comportamenti autodistruttivi e dell’ ideazione suicidaria, ed una riduzione del numero e dei giorni di ospedalizzazione sono i primi indicatori di miglioramento. Mentre circa il 60% dei pazienti con DBP ricoverati vengono nuovamente ospedalizzati entro i primi sei mesi, questa percentuale diminuisce fino a circa il 35% in un periodo compreso tra i diciotto mesi e i due anni dal primo ricovero. In generale, l’utilizzo di cure psichiatriche gradualmente diminuisce e comporta in modo crescente interventi più brevi e meno intensi.
I miglioramenti nel funzionamento sociale procedono più lentamente e in modo meno completo rispetto alla remissione dei sintomi. Circa il 25% dei pazienti diagnosticati con DBP raggiungono alla fine una relativa stabilità grazie a relazioni più intime e ad un lavoro appagante. Molti hanno invece una vita con successi professionali limitati ed evitano relazioni più intime. Mentre la stabilizzazione sintomatologica è frequente ed il livello di soddisfazione globale rispetto alla propria vita va incontro a miglioramento, il persistere della compromissione del funzionamento sociale è causa di insoddisfazione in questi pazienti.
Comportamenti suicidari e autolesivi
Gli aspetti più pericolosi e che incutono più timore nel DBP sono il comportamento autolesivo ed il potenziale suicidario. Mentre l’8-10% dei soggetti borderline compiono un suicidio, l’ideazione suicidaria (pensieri o fantasie rispetto al suicidio) è pervasiva nella popolazione borderline. I comportamenti autolesivi intenzionali (a volte definiti come atti parasuicidari) sono una caratteristica comune del DBP, e si verificano in circa il 75% dei pazienti diagnosticati ed addirittura in una percentuale più alta in quelli che sono stati ricoverati in ospedale. Questi comportamenti esitano in cicatrici fisiche e persino in condizioni fisiche disabilitanti. Il comportamento autolesivo può assumere molte forme. I pazienti con DBP spesso compiono agiti autolesivi senza un intento suicidario. La modalità autolesiva più frequente è rappresentata dal tagliarsi, ma può comportare anche il bruciarsi, il percuotersi, lo sbattere la testa e lo strapparsi  i capelli. Vi sono poi altri agiti autodistruttivi che non sono intenzionali, o per lo meno non sono intesi dal paziente come tali, quali la promiscuità sessuale, la guida in stato di ebbrezza, l’abbuffarsi ed il purgarsi. I tatuaggi e la pornografia, con conseguente senso di colpa, rappresentano nuove modalità .
I significati dei comportamenti autolesivi sono complessi, possono variare da individuo a individuo e possono servire a scopi differenti in momenti diversi. Circa il 40% degli agiti autolesivi compiuti dai pazienti borderline si verificano durante episodi dissociativi, circostanze in cui predominano ottundimento e vuoto. Per queste persone l’autolesionismo potrebbe essere l’unica modalità per esperire sentimenti. I pazienti riferiscono che procurarsi dolore fisico produce un senso di liberazione e sollievo che temporaneamente allevia sensazioni emotive intollerabili. Talvolta i soggetti con DBP riferiscono di mettere in atto tentativi suicidari quando si sentono soli o non amati o quando la vita appare così atrocemente dolorosa da sembrare intollerabile. Potrebbe anche esserci un vago piano di essere salvati, un tentativo di alleviare la sensazione intollerabile di solitudine stabilendo qualche contatto con gli altri. Potrebbe, persino, esservi una base neurochimica per tali comportamenti: gli agiti fisici autolesivi, infatti, possono esitare in un rilascio di alcune sostanze chimiche (endorfine) che inibiscono, per lo meno temporaneamente, la sofferenza interiore. I comportamenti autolesivi possono indurre dipendenza e uno degli iniziali e principali obiettivi del trattamento è quello di interrompere questo ciclo.
Oltre all’ abuso di sostanze, la depressione maggiore può contribuire al rischio suicidario. Circa il 50 % delle persone con DBP hanno un episodio di depressione maggiore al momento in cui cercano un trattamento e circa l’ 80% ha un episodio di depressione maggiore nell’arco della vita. Quando la depressione coesiste con l’ incapacità di tollerare un’intensa emozione, lo stimolo ad agire in maniera impulsiva è esacerbato. E’ essenziale che i curanti valutino attentamente l’umore del paziente, stabiliscano il grado di severità della tristezza riferita ma che riconoscano anche che i farmaci antidepressivi hanno solo una modesta efficacia.
I componenti della famiglia si sentono, comprensibilmente, tormentati dalla minaccia e/o dalla messa in atto di tali comportamenti. Le reazioni naturalmente variano ampiamente da caso a caso e vanno dal voler proteggere il famigliare alla rabbia per comportamenti percepiti come una richiesta di attenzioni. Il rischio di suicidio evoca paura, rabbia e impotenza.
E’ necessario, comunque, che i membri della famiglia non assumano il carico principale nel garantire la sicurezza del paziente. Qualora vi sia una percepita minaccia di autolesionismo o il paziente abbia messo in atto tali comportamenti, dovrebbe essere contattato un professionista. Il soggetto borderline può supplicarli di mantenere segreti comunicazioni e comportamenti ma la sicurezza deve essere la priorità . Il paziente, i curanti e la famiglia non possono lavorare assieme efficacemente senza sincerità e la minaccia o il verificarsi di agiti autolesivi non può essere tenuta segreta, nell’interesse di tutte le persone coinvolte. I componenti della famiglia/amici non possono vivere con lo spettro di questi comportamenti nella loro vita, e i pazienti non faranno progressi nella loro cura fino a quando questi comportamenti non saranno debellati.
Una volta che le preoccupazioni relative alla sicurezza sono state affrontate con l’aiuto di un professionista, i membri della famiglia/amici possono avere un importante ruolo nel ridurre la probabilità di minacce di agiti autolesivi semplicemente con la presenza e l’ascolto del loro caro, senza biasimo, rifiuto o disapprovazione.
I pazienti spesso abusano di alcool e sostanze/farmaci (sia prescritti che illeciti), nel tentativo di ridurre l’ansia sociale, distaccarsi da ruminazioni dolorose e diminuire l’intensità delle emozioni negative. Spesso l’alcool e le sostanze hanno un effetto disinibente che favorisce agiti autolesivi, condotte suicidarie e comportamenti a rischio.
Stato attuale del trattamento
Nel corso delle ultime due decadi, il trattamento del DBP è cambiato radicalmente e parallelamente è andata migliorando in maniera significativa la prognosi e la remissione.
Uno dei quesiti preliminari che si trovano a porsi famiglie/amici è come e quando riporre fiducia nelle persone responsabili del trattamento del loro caro. In generale, quanta più esperienza clinica hanno i curanti nel lavorare con pazienti borderline, tanto meglio. Nella eventualità che diversi professionisti siano coinvolti nella cura di un individuo borderline, sarà importante che essi siano compatibili nelle loro strategie e che comunichino tra loro. Il coinvolgimento nel trattamento dei membri della famiglia è altrettanto importante.
Ospedalizzazione
Il ricovero in ospedale nella cura dei pazienti borderline è solitamente limitato alla gestione delle crisi (comprese situazioni in cui è precaria la sicurezza del soggetto, anche se non solo limitato a queste). Gli ospedali forniscono un luogo sicuro dove il paziente ha un’occasione di acquistare distanza e prospettiva rispetto a una crisi particolare e dove i professionisti possono valutare i problemi e le risorse sociali e psicologiche del paziente. Non è raro che variazioni di farmaci abbiano luogo durante un ricovero in ospedale, dove i professionisti possono valutare lo effetto di una nuova terapia in un ambiente controllato. Le ospedalizzazioni sono solitamente di breve durata.
Psicoterapia
La psicoterapia è la pietra angolare di molti trattamenti di pazienti borderline. Sebbene lo sviluppo di un attaccamento sicuro al terapeuta è solitamente essenziale perché la psicoterapia sia efficace, ciò non si verifica facilmente con il paziente borderline, considerati i suoi intensi bisogni e timori relazionali.
Inoltre, i terapeuti sono a volte timorosi di lavorare con pazienti borderline. La sintomatologia può essere tanto difficoltosa per i professionisti quanto lo è per i membri della famiglia. Il curante può assumere il ruolo di custode protettivo e poi provare sentimenti di rabbia e paura quando il paziente attua comportamenti pericolosi e maladattivi. Anche se molto capaci, terapeuti motivati sono a volte bruscamente “licenziati” dai pazienti borderline. Spesso, comunque, nonostante siano percepite come un fallimento, queste brevi terapie possono svolgere un ruolo prezioso nell’aiutare il paziente in una situazione altrimenti insormontabile e nel renderlo più accessibile a futuri terapeuti.
Il consiglio standard per la psicoterapia individuale prevede da una a due sedute alla settimana con un clinico esperto per un periodo che va da uno a sei anni. E’ necessario che i terapeuti siano attivi e che mantengano costanti aspettative di cambiamento e la partecipazione del paziente. Indispensabile per una terapia efficace con un paziente borderline è lo sviluppo di sentimenti di fiducia e vicinanza con il terapeuta (aspetti che possono non essere stati presenti in precedenza nella vita del paziente), con l’aspettativa che questo aumenterà la capacità del paziente di avere relazioni simili anche con altri. La validazione, incluso l’ascolto, è una tecnica che permette al paziente borderline di riconoscersi ed accettarsi come essere unico e meritevole di valore.
Diversi modelli psicoterapici sono risultati efficaci in base ai dati empirici. Tutti diminuiscono le condotte autolesive, la suicidarietà , le ospedalizzazioni, gli accessi in Pronto Soccorso e l’utilizzo di farmaci. Tra le psicoterapie empiricamente validate la più conosciuta ed utilizzata è la Terapia Dialettico-Comportamentale (DBT), che combina terapia di gruppo e individuale ed è volta ad insegnare al paziente borderline abilità finalizzate alla regolazione emozionale ed alla riduzione dei comportamenti auto-distruttivi. La DBT include il concetto di mindfulness, che implica il raggiungimento della consapevolezza di sé ed un equilibrio tra stati emotivi e razionali, per arrivare ad avere una “mente saggia”. La DBT enfatizza anche l’importanza della regolazione delle emozioni, delle abilità di tolleranza allo stress e delle abilità di efficacia interpersonale. Questa terapia è basata sul coinvolgimento attivo del paziente, l’approccio basato sulla risoluzione dei problemi coinvolge nel trattamento i pazienti borderline motivati al cambiamento.
Tra le terapie basate su evidenze empiriche due sono di matrice psicodinamica (anche conosciuta come psicoanalitica). La Psicoterapia Focalizzata sul Trasfert (TFP) è una psicoterapia a cadenza bisettimanale che pone in risalto l’interpretazione del significato del comportamento del paziente in ambito relazionale, con maggior importanza data a quello con il terapeuta. La TFP enfatizza anche l’importanza delle esperienze di rabbia. Il Trattamento Basato sulla Mentalizzazione (MBT) combina interventi individuali e gruppali. Pone in risalto il valore del riconoscimento dei propri stati mentali (sentimenti/atteggiamenti) e quelli degli altri, come modalità di spiegazione dei comportamenti. Questa capacità è definita mentalizzazione ed è una abilità che tutte le terapie efficaci cercano di incrementare.
Il Management Psichiatrico Generale (GPM) è una terapia a cadenza settimanale che include la prescrizione di farmaci ed interventi familiari al bisogno. La terapia cerca di creare un “ambiente contenitivo”, all’interno del quale il paziente può imparare ad avere fiducia e ad esperire emozioni. Questa terapia richiede esperienza clinica ma è meno legata ad una teoria ed è più facile da apprendere rispetto alle terapie validate su base empirica.
Farmacoterapia
Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina ed altri farmaci antidepressivi sono spesso stati prescritti nei pazienti borderline ma la loro efficacia è modesta. Gli studi randomizzati controllati suggeriscono che gli antipsicotici atipici o gli stabilizzatori dell’umore rappresentano una scelta migliore. Questi studi suggeriscono anche che nessuna classe di farmaci ha un’efficacia costante o notevole. Le benzodiazepine sono l’unica classe farmacologica che ha dimostrato di peggiorare le condizioni cliniche dei pazienti, sebbene, anche in questo caso, vi siano delle eccezioni. I farmaci dovrebbero, quindi, essere prescritti facendo comprendere pienamente al paziente che essi hanno nel trattamento un ruolo ausiliario alla psicoterapia. In sostanza, la prescrizione farmacologica può facilitare la costruzione di un’alleanza terapeutica positiva mostrando concretamente il desiderio del clinico di aiutare il paziente a sentirsi meglio; tuttavia, aspettative irrealistiche sull’efficacia dei farmaci possono minare il lavoro basato sull’impegno personale del paziente a migliorarsi.
Quando si prescrivono farmaci a questa popolazione di pazienti le preoccupazioni comuni riguardano il rischio di overdose e la non compliance anche se l’esperienza insegna che possono essere utilizzati con un rischio molto ridotto se il paziente comunica e vede regolarmente lo psichiatra di riferimento. Un altro problema comune nella pratica clinica è la polifarmacoterapia, che si verifica quando un paziente vuole proseguire o aggiungere farmaci nonostante la mancanza di benefici riscontrabili; l’80% dei pazienti borderline assume tre o più farmaci. Le conseguenze di ciò includono gli effetti collaterali come l’obesità (specie con gli antipsicotici atipici) e problemi associati quali l’ipertensione ed il diabete. Quando non è chiaro il beneficio tratto da un farmaco, il paziente dovrebbe essere sollecitato a sospenderlo prima di iniziarne uno nuovo.
Interventi familiari
Genitori e coniugi spesso sostengono un carico importante. Essi solitamente si sentono mal giudicati e biasimati ingiustamente quando la persona con DBP li incolpa per la loro sofferenza. E’ sufficiente dire che vivere con questo disturbo rappresenta una sfida esistenziale sia per il paziente che per quelli che gli vogliono bene. Spesso i membri della famiglia accettano volentieri di essere educati riguardo alla diagnosi borderline, alla prognosi probabile, alle ragionevoli aspettative di cura ed a come dare il proprio contributo. Tali interventi spesso migliorano la comunicazione, riducono l’alienazione ed alleggeriscono i carichi familiari. Dovrebbero essere offerte sessioni congiunte con genitori e figli borderline, in cui è necessario aver prima motivato entrambe le parti alla partecipazione, aver facilitato la comunicazione verbale (piuttosto che passare all’azione) e il desiderio di ascolto reciproco.
Terapie di gruppo
Le terapie di gruppo comprendono quelle guidate da professionisti, con membri scelti, e gruppi di auto-aiuto, che sono composti da persone che si radunano assieme per discutere di problemi comuni. Entrambi sono trattamenti efficaci.
I gruppi di DBT sono strutturati come classi con focus specifici ed indicazioni fornite dal terapeuta del gruppo, e con compiti da svolgere a casa tra le sedute. I gruppi MBT offrono un modello per riconoscere gli errori di attribuzione e di come si possa avere un impatto sugli altri. I pazienti borderline possono essere resistenti a partecipare a gruppi di matrice interpersonale o psicodinamica, che richiedono l’espressione di sentimenti forti o il bisogno di autosvelamento. Inoltre, tali gruppi offrono ai pazienti borderline la possibilità di imparare da persone con esperienze di vita simili, elemento che, in combinazione con le altre modalità qui discusse, può significativamente aumentare l’efficacia del trattamento.
Molti pazienti borderline potrebbero trovare piĂą accettabile unirsi a gruppi di auto-aiuto, come AA (Alcolisti Anonimi, ndt) e altri gruppi, che sono incentrati su problemi specifici come disturbi alimentari o che hanno funzioni puramente di sostegno come i Sopravvissuti allo Incesto. Tali gruppi di auto-aiuto, che forniscono una rete di sostegno tra pari, possono essere utili in aggiunta al trattamento, ma non dovrebbero essere considerati come unica fonte di supporto.
Conclusioni
Nonostante la sua prevalenza nei setting clinici e gli enormi costi sostenuti dalla salute pubblica, il disturbo solo recentemente ha iniziato a ricevere l’ attenzione che richiede. Questo dato risulta evidente se si considera l’emergere di gruppi di advocacy familiare/educativi/supportivi e la identificazione del DBP come obiettivo prioritario da parte dell’Istituto Nazionale di Salute Mentale (NIMH) e dell’Alleanza Nazionale sulla Salute Mentale (NAMI) nel 2006. Nel 2009, il Congresso americano ha approvato una delibera per aumentare la consapevolezza rispetto al disturbo e gli investimenti nell’ambito della ricerca e del trattamento. Fino ad ora non è accaduto.
La nostra comprensione del disturbo sta andando incontro ad un significativo cambiamento. Mentre la sua eziologia era una volta ritenuta essere esclusivamente ambientale, ora sappiamo che essa è fortemente genetica. Mentre in passato era ritenuto un disturbo estremamente cronico e resistente al cambiamento, ora sappiamo che esso ha in grossa parte una buona prognosi. Infine, mentre un tempo si riteneva che il trattamento del DBP richiedesse sforzi eroici, ora disponiamo di una varietà di interventi ideati in maniera specifica per il DBP, che possono portare importanti e permanenti benefici.
Il BDP in adolescenza
InfoBPD in adolescenza
– A differenza di quanto sostenuto in passato i dati di letteratura hanno evidenziato la possibilitĂ di diagnosticare il disturbo in adolescenza (DSM 5, ICD, linee guida britanniche ed australiane)
– il BPD è un disturbo prevalentemente giovanile che si manifesta con picchi in adolescenza o prima etĂ adulta
– La prevalenza del disturbo nei giovani è pari all’1-3% nella popolazione generale, 11-22% nei pazienti ambulatoriali e 33-49% in quelli ricoverati
– La diagnosi di BPD è un predittore di disabilitĂ piĂą forte dei disturbi d’ansia e depressivi
– Il tasso di suicidio nel BPD è circa l’8%
– i familiari di individui con BPD sostengono un ingente carico oggettivo e soggettivo
Esordio del BPD in adolescenza
ricordiamo che ad una diagnosi precoce corrisponde un trattamento precoce.
Ad oggi sono disponibili interventi “Evidence-Based” per il trattamento del BPD in adolescenza.
Uno degli obiettivi di NEABPD Italy per il prossimo anno sarĂ quello di sensibilizzare i clinici al riconoscimento dei segni precoci del disturbo ed all’adozione di interventi “evidence based”
Quando una persona è affetta dal Disturbo Borderline di Personalità , tutta la famiglia e tutti coloro che tengono a lei soffrono molto.
Il DBP causa infatti una serie di relazioni intense e turbolente con la famiglia, gli amici ed i colleghi di lavoro poiché si caratterizza per una continua oscillazione tra sentimenti di intenso amore (idealizzazione) e disprezzo e rabbia (svalutazione).
Umore instabile, comportamenti rischiosi e suicidari, rabbia, ansia e relazioni complicate sono spesso parte integrante della vita di chi è affetto da DBP e quindi anche delle loro famiglie e dei loro amici che si sentono come “in balia delle montagne russe”.
Per i motivi di cui sopra un team di esperti americani, che afferiscono alla NEA.BPD (National Education Alliance for Borderline Personality Disorder), ha sviluppato un protocollo di 12 incontri con lo scopo di fornire ai familiari delle competenze utili al loro benessere e alla comprensione dei comportamenti del loro caro., Il programma Family Connections è un corso gratuito per familiari di persone con difficoltà a gestire le proprie emozioni. L’obiettivo principale del protocollo di Family Connections è aiutare ciascun familiare a raggiungere un proprio equilibrio interiore, in modo da non avere più la vita sopraffatta e controllata dai sintomi e dai comportamenti del DBP. Non è egoismo! Proprio come sugli aerei, il corso aiuta a capire come indossare la maschera per l’ossigeno prima di aiutare gli altri! Il carico sulla famiglia di una persona affetta da disturbo borderline di personalità è infatti notevole ed il familiare, inevitabilmente sormontato dallo stress e dal senso d’impotenza, rischia di non riuscire ad aiutare il proprio figlio in modo adeguato e di colludere con i suoi comportamenti disfunzionali.
Anche NEA.BPD Italy offre gruppi gratuiti di Family Connections in diverse cittĂ italiane e spera di attivarne sempre di piĂą!
IMPORTANTE! Vogliamo ricordare che gli incontri Family Connections sono sempre GRATUITI, i conduttori sono tutti volontari, in caso di richieste di pagamento vi preghiamo di contattarci subito.
Alcune prime informazioni di base per i familiari
Leggi le linee guidaLINEE GUIDA PER I FAMILIARI
Programma di Gruppo Multifamiliare
McLean Hospital
Prof. John G. Gunderson e Dott.ssa Cynthia Berkowitz
Pubblicate da:
The New England Personality Disorder Association
Traduzione a cura della Dott.ssa Maria Elena Ridolfi , Responsabile CSM Fano AV 1 Fano e  Centro per lo studio ed il trattamento del Disturbo Borderline di Personalità , Area Vasta 1, Fano.
OBIETTIVI: PROCEDETE LENTAMENTE
I familiari di persone con Disturbo Borderline di PersonalitĂ (DBP) possono narrare storie infinite di episodi in cui il loro figlio o la loro figlia sono andati in crisi proprio quando stavano cominciando a funzionare meglio o ad assumersi piĂą responsabilitĂ . L’associazione miglioramento-ricaduta può essere confusiva e frustrante ma ha una sua logica. Quando le persone fanno dei progressi- lavorano, non frequentano piĂą un centro diurno, aiutano a casa, riducono i comportamenti autolesivi o vanno a vivere da sole- diventano piĂą indipendenti. Corrono però il rischio che le persone a loro vicine e che sono stati supportive, preoccupate e protettive, prendano distanza, poichĂ© ritengono che il loro compito si sia estinto. Le “scorte” di assistenza emotiva ed economica possono presto prosciugarsi, lasciandoli a combattere da soli nel mondo. Cominciano, pertanto, a temere l’abbandono. La loro risposta alla paura è rappresentata da una ricaduta. La ricaduta può non essere una decisione conscia ma la paura e l’ansia possono portarli a riutilizzare vecchie strategie di coping. Perdere giorni al lavoro, mettere in atto agiti autolesivi e tentativi suicidari, o avvertire la spinta ad abbuffarsi, purgarsi o bere possono essere segnali per comunicare agli altri che la persona sta attraversando un momento di stress e necessita di aiuto. Tali ricadute spingono le persone attorno a loro ad assumersi la responsabilitĂ , adottando misure protettive quali il ricovero in ambiente ospedaliero. Una volta ricoverata, la persona regredisce ad uno stato in cui non ha verso sĂ© stessa piĂą alcuna responsabilitĂ , che viene invece così delegata agli altri. Quando appaiono segnali di progresso, i familiari possono ridurre il rischio di ricaduta non mostrando troppo entusiasmo a riguardo e consigliando l’individuo a compiere passi con prudenza. Per questo motivo, i membri esperti di uno staff ospedaliero al momento della dimissione non comunicano al paziente che sono ottimisti rispetto alle prospettive ma che  dovrĂ affrontare momenti difficili. Se da un lato è importante riconoscere i progressi con una “pacca sulla spalla”, dall’altro è necessario convenire che i miglioramenti sono difficili da raggiungere. Non significa che la persona ha vinto le sue battaglie emotive. Si può evitare di fare affermazioni come “Hai fatto grandi progressi”, o “ Sono davvero colpito dai cambiamenti che hai fatto”. Tali messaggi implicano che pensate che stanno bene ed hanno superato i loro problemi. Anche affermazioni di rassicurazione come “Questa cosa non era così difficile” o “Sapevo che ce l’avresti fatta”, suggeriscono che state minimizzando le loro difficoltĂ . Affermazioni come “ I tuoi progressi mostrano che ti stai davvero impegnando”. Hai lavorato sodo. Mi fa piacere vedere che sei stato in grado di farlo ma sono preoccupato per il fatto che tutto questo possa essere stressante”, possono risultare piĂą empatiche e meno rischiose.
Sebbene la persona con DBP possa avere evidenti risorse quali l’intelligenza, l’ambizione, un buon aspetto ed un talento artistico, si sente deficitaria, a causa della sua grave vulnerabilità emotiva, nel momento in cui prova ad utilizzarle. In generale, la persona con DBP e la sua famiglia hanno aspettative superiori alle sue risorse. Sia il paziente sia la famiglia possono far pressione per farla tornare all’università o frequentare un corso che la prepari all’indipendenza economica. I familiari possono desiderare che il paziente si trasferisca nel suo appartamento e si prenda cura di sé in maniera più autonoma. Caricata da tali aspettative, una persona con DBP può compiere grandi passi in una sola volta. Ad esempio, potrebbe insistere sul voler tornare all’università , nonostante un recente ricovero. Naturalmente, programmi importanti come questo non tengono conto del deficit che il soggetto ha nel regolare le proprie emozioni, del pensiero in bianco e nero e dell’intolleranza alla solitudine. Considerando l’esempio sopra riportato,  il primo deficit può comportare che il voto discreto ottenuto al primo esame potrebbe determinare la comparsa di espressioni di rabbia inappropriata se il voto è considerato ingiusto, la messa in atto di agiti autolesivi se il risultato è ritenuto un totale fallimento o la comparsa di grave ansia se il successo negli studi può comportare il timore che si riducano le preoccupazioni genitoriali. La principale difficoltà relativa al successo negli aspetti professionali/scolastici è la minaccia di indipendenza, molto desiderata ma carica di timori abbandonici. Il risultato di un passo troppo grande fatto tutto in una volta è spesso un’oscillazione rovinosa in direzione opposta, come un orologio a pendolo. La persona spesso ha una ricaduta in uno stato regressivo, che può anche richiedere un ricovero ospedaliero.
Uno dei compiti maggiori per i familiari è quello di rallentare il ritmo con il quale sia loro che il paziente cercano di raggiungere gli obiettivi prefissati. Rallentando, si prevengono le drammatiche oscillazioni, come descritto in precedenza, e le esperienze di fallimento che attentano all’autostima dell’individuo. Ridurre le aspettative e stabilire piccoli obiettivi raggiungibili passo dopo passo consente al paziente e ai suoi familiari di avere maggiori possibilità di successo senza ricadute. Gli obiettivi prefissati devono essere realistici. Per esempio, la persona che ha abbandonato l’università a metà semestre per la comparsa di sintomi depressivi e suicidari a causa della pressione avvertita, non potrà tornare all’università a tempo pieno qualche mese dopo ed aspettarsi ottimi risultati. Un obiettivo più realistico potrà essere quello di seguire un solo corso, in attesa di una stabilizzazione sintomatologica. Gli obiettivi vanno raggiunti procedendo a piccoli passi. La persona con BPD che ha sempre vissuto con i genitori potrebbe non essere in grado di trasferirsi immediatamente a vivere da sola. Il programma potrebbe essere quello di suddividere il percorso in piccoli passi, cioè trasferirsi prima in una residenza protetta e poi in un appartamento con operatori. Una volta raggiunta la stabilità in quei contesti, si può pensare che vada a vivere da sola. Gli obiettivi non solo devono essere suddivisi in piccoli passi ma i passi vanno fatti uno alla volta. Per esempio, se il paziente e la sua famiglia hanno come obiettivi il completamento della scuola ed il vivere da solo, potrebbe essere saggio lavorare sul raggiungimento di un obiettivo per volta.
Questa linea guida ha lo scopo di ricordare il messaggio centrale del nostro programma psicoeducativo: la persona con DBP è deficitaria nell’abilità di tollerare lo stress a livello relazionale (ad esempio: rifiuto, critiche, disaccordi) e può pertanto beneficiare di un ambiente tranquillo e sereno. E’ fondamentale tenere a mente il grado di sofferenza emotiva con cui le persone con DBP fanno i conti quotidianamente. Dato che l’esperienza interna può essere difficile da esprimere, noi la spieghiamo riassumendola in tre deficit: disregolazione emotiva, intolleranza alla solitudine e pensiero in bianco e nero. Esaminiamoli uno alla volta:
Una persona con DBP ha emozioni che oscillano in maniera drammatica nel corso di una giornata e che sono particolarmente intense. Queste emozioni o affetti sono spesso dolorose. Tutti noi sperimentiamo a volte emozioni così intense. Ad esempio, pensate alla sensazione di avere il cuore che batte forte e di terrore che potete provare quando vi rendete conto di avere fatto un errore al lavoro che può essere costoso o imbarazzante per la vostra attività lavorativa. La persona con DBP esperisce tali intense emozioni regolarmente. La maggior parte delle persone possono lenire tali esperienze emotive dicendosi che troveranno un modo per riparare all’errore fatto o ricordando a sé stessi che è umano commettere errori. La persona con DBP non ha la capacità di autoconsolarsi. Si può fare un esempio mutuato dai conflitti familiari. Abbiamo tutti dei momenti in cui proviamo rancore verso le persone che amiamo. In genere, cerchiamo di calmarci in tali situazioni programmando di parlare a quattr’occhi con la persona in questione o decidendo di lasciare che la situazione si calmi. La persona con DBP avverte la rabbia in maniera così intensa e non ha la capacità di mettere in atto strategie adeguate. La conseguenza è un’espressione inappropriata di ostilità o il passaggio all’atto di tali vissuti emotivi (bere o tagliarsi).
Una persona con DBP in genere si sente disperata a fronte di una prospettiva di separazione- la vacanza di un familiare o del terapeuta, la fine di una relazione, la partenza di un amico. Mentre la maggior parte di noi sentirebbe probabilmente la mancanza del familiare, del terapeuta o dell’amico, la persona con DBP tipicamente prova una sensazione intensa di panico. Non è in grado di rievocare l’immagine della persona assente per calmarsi. Non è in grado di dirsi “ Quella persona tiene a me e tornerà per aiutarmi”. La memoria la tradisce. Si sente solo tranquillizzata ed amata se la persona è presente. Inoltre, l’assenza dell’altro è vissuta come un abbandono. Può addirittura allontanare questi pensieri e sentimenti dolorosi attuando un meccanismo di difesa definito dissociazione, che consiste in bizzarre e disturbanti sensazioni di sentirsi non reale o estraneo al proprio corpo.
Ad estreme emozioni si associa una modalità estrema di pensiero. La persona con DBP tende ad avere opinioni estreme. Gli altri sono spesso percepiti come o tutti buoni o tutti cattivi. Quando l’altro è percepito come premuroso e supportivo, la persona con DBP lo vede come un salvatore, come qualcuno dotato di qualità speciali. Quando l’altro fallisce, dissente o disapprova in qualche modo, la persona con DBP  lo percepisce come cattivo ed indifferente. Il deficit sta nell’incapacità di percepire gli altri in maniera più realistica, con un misto di aspetti positivi e negativi.
Questa rassegna dei deficit delle persone con DBP è un rimando al fatto che essi hanno una compromissione nell’abilità di tollerare lo stress. I familiari possono, pertanto, aiutare i loro cari a raggiungere una maggiore stabilità creando un ambiente familiare tranquillo e sereno. Ciò significa rallentare e fare un lungo respiro quando arriva il momento di crisi, invece di reagire con un’emozione intensa. Significa anche stabilire obiettivi meno ambiziosi per la persona con DBP, in modo da ridurre la pressione che avverte. Vuol dire anche comunicare quando siete calmi ed in maniera calma. Non significa mettere “la testa nella sabbia”, soffocare dissapori e dissensi, evitando di discuterne. Significa che i conflitti debbono essere affrontati in modo calmo ma diretto, senza critiche. Le linee guida che seguono forniranno alcuni strumenti per comunicare nella maniera suggerita.
Spesso, quando si ha un familiare con un disturbo psichiatrico grave, si tende ad isolarsi. La gestione dei problemi può assorbire molto tempo ed energia. Le persone spesso si allontanano dagli amici nel tentativo di nascondere un problema che ritengono stigmatizzante e vergognoso. Il risultato di questo isolamento può essere solo rabbia e tensione. Ognuno ha bisogno di amici, di divertirsi, di andare in vacanza per rilassarsi e staccare la spina. Rispettando il fatto di concedersi dei bei momenti, ci si può calmare ed affrontare i problemi della vita con una migliore prospettiva. L’ambiente familiare si calmerà di conseguenza. Pertanto dovreste concedervi dei momenti positivi non solo per il vostro bene ma anche per il bene di tutta la famiglia.
Troppo spesso, quando i familiari sono in conflitto o sostengono il carico della gestione di gravi problemi emotivi, si dimenticano di concedersi del tempo per parlare di argomenti che non siano il disturbo psichico. Questo tipo di dialogo è importante per diversi motivi. La persona con DBP spesso dedica tutto il suo tempo ed energia al suo disturbo andando varie volte alla settimana in terapia o frequentando ad esempio un centro diurno. Il risultato è che perde l’occasione di esplorare opportunità e sfruttare i talenti e gli interessi che ha. Il senso di sé è tipicamente molto fragile e può essere reso ancor più fragile se continua a focalizzarsi sui problemi e a dedicare attenzioni alla malattia. Quando i familiari trovano tempo per dialogare di argomenti non correlati al disturbo, incoraggiano e riconoscono gli aspetti più sani dell’identità e lo sviluppo di nuovi interessi. Questo tipo di dialogo, alleggerisce la tensione all’interno della famiglia, introducendo un pò di senso dell’umorismo e distrazione, ed è utile, pertanto, a seguire la linea guida N. 3.
Alcune famiglie non parlano mai in questa maniera, e farlo può sembrare inizialmente innaturale o creare disagio. Ci sono una miriade di spiegazioni sul perché non vi sia la possibilità di comunicare in questo modo. Le famiglie hanno bisogno di trovare il tempo. Il momento giusto può essere programmato in anticipo ed un promemoria può essere appeso sul frigorifero. Ad esempio, ci si può accordare per cenare insieme alcune volte alla settimana con il patto di non discutere di problemi e conflitti. Con il tempo questo tipo di dialogo può divenire un’abitudine e non sarà , quindi, più necessario programmare in anticipo.
GESTITE LA CRISI
PRESTATE ATTENZIONE MA RESTATE CALMI
Quando le persone che si amano si arrabbiano l’una con l’altra, possono  anche volare insulti pesanti per la rabbia. Questo accade particolarmente alle persone con DBP perché sperimentano una rabbia intensa. La risposta naturale alla critica percepita come ingiusta è la difesa. Ma, come chiunque si sia trovato in una situazione simile sa, difendersi non funziona. Una persona che è arrabbiata non è in grado di pensare ad una soluzione alternativa in modo calmo e razionale. I tentativi di difesa non fanno altro che alimentare il fuoco. In linea di massima, un atteggiamento difensivo suggerisce che uno crede che la rabbia della persona sia ingiustificata, messaggio che porta ad una rabbia ancora maggiore. Considerato che la persona che sta esprimendo la rabbia a parole non sta fisicamente minacciando l’altro, l’atteggiamento più saggio è quello di porsi in ascolto senza litigare.
La cosa che piĂą desidera una persona è essere ascoltata. Naturalmente, ascoltare senza litigare implica l’essere feriti perchĂ© è molto doloroso riconoscere che qualcuno che si ama possa sentirsi così offeso da voi. Talvolta le offese sono dolorose perchĂ© sembrano false ed ingiuste. Altre volte, possono ferire perchĂ© contengono un fondo di veritĂ . Se ritenete che vi sia del vero in quello che vi viene detto, ammettetelo con una frase del tipo“ Credo che tu sia sulla strada giusta”. “Mi rendo conto che ti ho offeso e mi dispiace”.
Ricordate che la rabbia è parte del problema per le persone con DBP. Potrebbero essere nate con una natura molto aggressiva. La rabbia può rappresentare un aspetto dei vissuti emotivi che può rapidamente modificarsi in senso opposto (vedere la discussione sul pensiero in bianco e nero). Tenere a mente questi concetti può aiutarvi ad evitare di prendere le espressioni di rabbia sul piano personale.
Ci sono molti modi con i quali la persona con DBP ed i suoi familiari possono accorgersi che il problema sta arrivando. Le minacce ed i riferimenti all’autolesionismo possono comprendere una serie di comportamenti provocatori. La persona può verbalizzare un’intenzione suicidaria. Può isolarsi. Può graffiarsi in maniera superficiale. Alcuni genitori hanno notato che i loro figli si rasano la testa e si tingono i capelli con colori fosforescenti quando sono sotto stress. Pià comunemente, si manifesta inappetenza o irrequitezza. A volte l’evidenza è chiara- un tentativo suicidario messo in atto di fronte ai genitori. I problemi si possono verificare quando si avvicina una separazione o una vacanza.
Quando le famiglie riconoscono la presenza di problemi possono essere riluttanti ad affrontarli. A volte, la persona con DBP insisterà sul fatto che i familiari si facciano da parte, facendo magari appello ad un diritto alla privacy. Altre volte, i familiari temono di parlare apertamente di un problema poiché la discussione può essere difficile. Possono temere di creare problemi dove non ci sono “Facendo venire strane idee all’altro”. Di fatto le famiglie temono per l’incolumità dei propri figli in queste situazioni perché li conoscono bene e riconoscono le avvisaglie in base all’esperienza. I problemi non si creano facendo domande. Affrontando i comportamenti provocatori ed i fattori scatenanti in anticipo, possono invece contribuire ad evitare problemi ulteriori. Le persone con DBP hanno spesso difficoltà ad esprimere i loro sentimenti e tendono invece ad agirli in maniera distruttiva. Pertanto, affrontare i problemi chiedendo ai propri figli o parlare con il terapeuta, li aiuta ad affrontare i propri sentimenti,utilizzando le parole anziché le azioni.
La privacy rappresenta naturalmente una grande preoccupazione quando si ha a che fare con un adulto. Tuttavia, in una situazione di pericolo l’obiettivo deve essere la sicurezza. Quando dovete prendere la decisione difficile di chiamare il terapeuta di vostro figlio in merito  ad una preoccupazione o chiamare un’ambulanza, dovete soppesare le preoccupazioni per la sua incolumità e quelle per la privacy. La maggior parte delle persone sono daccordo sul fatto che la sicurezza ha la priorità , anche se vi può essere la tentazione di agire solo in maniera minima nel tentativo di proteggere la privacy dell’individuo. Allo stesso modo, vi può essere la tentazione a reagire in maniera esagerata, con modalità che possono rappresentare un rinforzo per il comportamento messo in atto dalla persona con DBP. Una giovane donna con DBP ha detto a sua madre durante il tragitto in ambulanza verso il reparto di psichiatria: “Non sono mai stata su un’ambulanza prima d’ora!”. Le famiglie possono essere giudicanti nei confronti delle situazioni che si trovano ad affrontare. I terapeuti possono essere d’aiuto nell’anticipare i momenti di crisi e nello stabilire dei programmi che soddisfino i bisogni della singola famiglia.
Quando i sentimenti sono espressi apertamente, possono essere dolorosi da ascoltare. Una figlia potrebbe dire ai propri genitori che si sente abbandonata o non amata da loro. Un genitore potrebbe dire che è arrivato “alla frutta” per la frustrazione. Ascoltare è il modo migliore per aiutare una persona in un forte stato emotivo a calmarsi.  Le persone apprezzano il fatto di essere ascoltate e di vedere riconosciuti i propri stati emotivi. Questo non vuol dire necessariamente approvare. Diamo un’occhiata ai modi per ascoltare. Uno è quello di rimanere in silenzio con sguardo attento e preoccupato. Potete fare delle domande che esprimono interesse. Per esempio: “Da quanto tempo ti senti così?” oppure, “Che cosa ha scatenato questi sentimenti?”.  Un altro modo per ascoltare è fare affermazioni riguardo a ciò che credete di aver sentito. Con queste affermazioni date prova del fatto di aver realmente ascoltato quello che l’altro aveva da dire. Per esempio, se vostra figlia vi dice che non si sente amata da voi, potete dire, pur trovando l’affermazione infondata: “Non ti senti amata da me?!”. Quando un figlio dice ai propri genitori che ritiene di essere stato trattato ingiustamente, i genitori possono rispondere “Ti senti preso in giro, eh?”. Notate ancora una volta che le affermazioni empatiche non implicano l’approvazione.
Non abbiate fretta di discutere con il vostro familiare i suoi sentimenti o di convincerlo a modificarli. Come abbiamo detto in precedenza, tali discussioni sono infruttuose e frustranti per la persona che vuole essere ascoltata. Ricordate che anche quando può essere difficile accettare la validità di sentimenti che ritenete infondati, la persona trarrà comunque beneficio dal fatto che li avete riconosciuti. E’ utile per le persone, in particolare quelle con DBP, tradurre i sentimenti in parole, al di là di quanto tali sentimenti siano basati su distorsioni. Se le persone trovano gratificante l’espressione verbale dei propri sentimenti, hanno meno probabilità di agirli in maniera distruttiva. Sensazioni di essere soli, diversi ed inadeguati necessitano di uno spazio di ascolto. Fornendo questo spazio e dimostrando che li avete ascoltati utilizzando una delle modalità sopra descritte, li aiutate a sentirsi meno soli ed isolati. Queste sensazioni sono un’esperienza comune, giornaliera per le persone con DBP. I genitori di solito non sanno e spesso non vogliono credere che i loro figli si sentono in quel modo. I sentimenti diventano un pò meno dolorosi quando trovano uno spazio di condivisione.
I familiari possono essere molto solleciti nel cercare, litigando o negando, di convincere i loro cari dell’infondatezza dei sentimenti espressi. Queste discussioni sono parecchio frustranti ed irritanti per la persona che esprime i propri sentimenti. Se questi vengono negati quando espressi, è possibile che la persona li agisca nel tentativo di fare arrivare il messaggio.
COLLABORATE E SIATE COERENTI
I problemi possono essere individuati discutendone apertamente in famiglia. Ognuno deve prendere parte alla discussione. Le persone sono più inclini a fare la loro parte quando vengono coinvolte e quando viene rispettato il loro punto di vista. E’ importante chiedere a ciascun familiare se si sente in grado di compiere i passi necessari per la risoluzione del problema.
Chiedendo, mostrate di riconoscere quanto sia difficile per l’altra persona. Questo va di pari passo con il riconoscere quanto sia difficile il cambiamento.
Potreste sentire il bisogno di intervenire e di aiutare un altro componente familiare. Il vostro aiuto potrebbe essere apprezzato o vissuto come un’intrusione. Se chiedete in anticipo se il vostro aiuto è desiderato, è meno probabile che crei risentimento.
I componenti familiari possono avere visioni diametralmente contrastanti riguardo a come gestire qualsiasi problema o comportamento del membro con DBP. Quando agiscono in base a visioni diverse, annullano l’effetto degli sforzi reciproci. Il tipico risultato è un aumento della tensione e del risentimento tra i familiari, così come la mancanza di progressi nell’affrontare il problema.
Un esempio può illustrare quanto espresso. Una figlia chiama spesso casa per avere aiuti economici rispetto a grossi debiti contratti con la carta di credito. Vuole acquistare abiti nuovi. Non è stata in grado di risparmiare per pagare l’affitto. Nonostante il suo costante desiderio di denaro, non è in grado di assumersi responsabilità economiche mantenendo un posto di lavoro o vivendo rispettando un budget. Suo padre mantiene un atteggiamento fermo, rifiutandosi di finanziarla e di soddisfare le sue richieste, insistendo sul fatto che deve assumersi le sue responsabilità nel risolvere da sola il problema. La madre allo stesso tempo si ammorbidisce facilmente ad ogni richiesta e le dà i soldi necessari. Ritiene che fornire denaro extra sia un modo per ridurre lo stress emotivo della figlia. Il padre si risente perché la madre vanifica i suoi tentativi di porre dei limiti, mentre la madre lo ritiene troppo severo e lo biasima per il peggioramento della figlia. Il comportamento della figlia persiste, naturalmente, perché non vi è un piano coerente che i familiari possono seguire per far fronte ai problemi economici. Con un pò di comunicazione possono pianificare di dare una somma adeguata, così che il padre  non verrebbe percepito come severo dalla madre, mentre questa non apparirebbe troppo permissiva agli occhi paterni. La figlia aderirà al programma solo dopo che i genitori lo avranno fatto.
Fratelli e sorelle possono essere coinvolti in questi conflitti familiari ed interferire con gli sforzi reciproci nel gestire i problemi. In queste situazioni i familiari dovrebbero comunicare piĂą apertamente le loro visioni contrastanti sul problema e le reciproche prospettive, e poi sviluppare un piano cui ognuno possa aderire.
Le famiglie possono avere diverse preoccupazioni riguardo all’utilizzo di farmaci da parte della persona a loro cara. Possono chiedersi se lo psichiatra è al corrente degli effetti collaterali che sta manifestando. “Riesce lo psichiatra a vedere quando il paziente è sedato o è diventato obeso? Lo mette in  pericolo prescrivendo troppi farmaci”? Le famiglie e gli amici possono chiedersi se il medico o il terapeuta è al corrente della non compliance del paziente o della storia di abuso di sostanze.
Quando i familiari hanno tali preoccupazioni, spesso sentono che non dovrebbero interferire, o il paziente dice loro di non farlo. Noi riteniamo che se i familiari rivestono un ruolo supportivo importante nella vita del paziente, sul piano economico ed emotivo o tenendolo a vivere in casa, dovrebbero compiere degli sforzi per partecipare al piano di trattamento del loro caro. Possono ricoprire un ruolo importante contattando direttamente il medico o il terapeuta per esprimere le loro preoccupazioni. Il terapeuta non può fornire informazioni su pazienti maggiorenni senza il loro consenso ma può ascoltare e ottenere informazioni da familiari ed amici. A volte, lavorerà con familiari ed amici, ovviamente previo consenso del paziente.
SIATE ESPLICITI MA CAUTI
Le aspettative devono essere espresse in maniera chiara. Troppo spesso, le persone danno per scontato che i componenti della famiglia dovrebbero essere a conoscenza delle proprie aspettative automaticamente. Spesso è meglio dimenticare queste supposizioni.
Il modo migliore per esprimere un’aspettativa è evitare qualsiasi tipo di minaccia. Per esempio, una persona potrebbe dire “Voglio che tu faccia una doccia almeno a giorni alterni”. Quando espressa in questa maniera, l’affermazione attribuisce la responsabilità all’altra persona nel soddisfare l’aspettativa. Spesso in queste situazioni i familiari sono tentati di rinforzare le aspettative associando delle minacce. Quando si propende per questo, uno potrebbe dire “Se non fai una doccia almeno a giorni alterni, ti chiederò di andartene di casa”. Il primo problema con questa  affermazione è che la persona che fa l’affermazione si assume la responsabilità . Sta dicendo “Io” prenderò iniziativa se “Tu” non ti assumerai la responsabilità , invece di dare il messaggio “ Tu devi assumerti la  tua responsabilità .”! Il secondo problema è che la persona potrebbe non essere intenzionata a mettere in atto realmente quanto minacciato. La minaccia diviene un’espressione inutile di ostilità . Naturalmente si può giungere al punto in cui il familiare si sente in dovere di dare un ultimatum con l’intenzione di metterlo in atto. Discuteremo questa situazione più avanti.
Le persone con DBP possono avere comportamenti pericolosi, dannosi e costosi. Il costo emotivo ed economico per l’individuo e per la famiglia può essere tremendo. Ciò nonostante, i familiari a volte fanno l’impossibile per soddisfare i desideri dell’individuo, riparare i danni o proteggere tutti dall’imbarazzo. Il risultato di queste modalità protettive è complesso. Innanzitutto, il comportamento problematico verosimilmente persiste perché non c’è nessun prezzo da pagare o ha comportato una qualche ricompensa.  Secondo, i familiari si possono infuriare perché risentono del fatto di aver sacrificato integrità , denaro e benevolenza nel tentativo di essere protettivi. In questo caso, le tensioni a casa accrescono, anche se l’atteggiamento protettivo aveva l’intento di prevenire le tensioni. Allo stesso tempo, la rabbia può essere ad un certo livello gratificante per l’individuo perché lo fa sentire al centro dell’attenzione, anche se si tratta di un’attenzione negativa. Terzo, l’individuo può iniziare a manifestare questi comportamenti al di fuori della famiglia e fronteggiare danni e perdite nel mondo reale maggiori di quelli che avrebbe dovuto affrontare nell’ambiente familiare. Pertanto, il tentativo di proteggere rende l’individuo impreparato ad affrontare il mondo esterno. Alcuni esempi illustreranno questo punto:
Questi casi illustrano i rischi di essere protettivi quando la persona amata fa scelte poco sagge o mette in atto comportamenti francamente pericolosi. Porre dei limiti alle scelte e ai comportamenti, permette ai familiari di motivare gli individui ad assumersi maggiori responsabilità e a porsi dei limiti adeguati. La decisione di stabilire dei limiti è spesso la più difficile decisione che un familiare possa prendere. Richiede la capacità di assistere alle battaglie della persona amata con frustrazione e rabbia. E’ importante che i genitori comprendano che il loro compito non è proteggere i figli da queste emozioni ma insegnare loro a vivere con questi sentimenti come tutti devono fare.
Le bizze non vanno tollerate. Vi sono molti modi per limitarle. Un gesto lieve potrebbe essere quello di andarsene per evitare di rinforzarli.  Un gesto più aggressivo potrebbe essere quello di chiamare un’ambulanza. Molte famiglie temono di mettere in atto quest’ultimo gesto perché non vogliono un’ambulanza di fronte a casa o non vogliono suscitare la rabbia dell’individuo in questione. Quando si è in preda a tali sentimenti, si può considerare il problema opposto. La sicurezza può essere una preoccupazione quando una persona è violenta e perde il controllo. Molte persone sarebbero daccordo con il fatto che la sicurezza è più importante della privacy. Inoltre, il non prestare adeguate attenzioni mediche per comportamenti caratterizzati da perdita di controllo è come far finta di non voler sentire. Questo, infatti, può generare un’escalation. Il passaggio all’atto è una richiesta di aiuto. Se la richiesta di aiuto non è ascoltata, si fa più rumorosa.
Quando un membro della famiglia non riesce più a tollerare il comportamento di un altro componente familiare, può arrivare al punto di dare un ultimatum. Questo significa minacciare di passare all’azione se la persona non collabora. Per esempio, quando una figlia non fa la doccia o sta a letto la maggior parte del tempo, un genitore esasperato potrebbe dirle di andarsene se non cambia. Il genitore può sperare che la paura la spinga a modificare il proprio comportamento. Allo stesso modo, il genitore però potrebbe non essere convinto della minaccia che ha fatto. Se la figlia si rifiuta di collaborare, il genitore può indietreggiare dimostrando così che la minaccia non era reale. Quando un ultimatum è utilizzato in quella maniera, è inutile e genera ostilità .  Le persone, pertanto, dovrebbero dare ultimatum solo quando sono seriamente intenzionate a rispettarli. Per esser certi di questo, bisogna essere arrivati al punto in cui non si è più in grado di tollerare il comportamento dell’individuo.
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